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Carver e il tempo di scrivere un racconto

7 Giugno 2005 by Admin

Diceva Raymond Carver rispondendo a una domanda sul perché scrivesse racconti “Circostanze della vita. Ero molto giovane. Mi sono sposato a diciotto anni. Mia moglie ne aveva diciassette ed era incinta. Non avevo neanche un soldo, dovevamo lavorare giorno e notte e crescere i nostri due bambini. Dovevo anche andare al college a lezioni di scrittura e mi era impossibile iniziare qualcosa che mi avesse portato via due o tre anni. Così mi decisi a scrivere poesie e racconti. Potevo sedermi ad un tavolo, iniziare qualcosa e finirla in un’unica seduta“.

Poteva, sì. Ma per lo più i racconti di Carver sono il frutto di elaborazioni continue. Non che non fosse importante riuscire a tenere i fili di una storia in un unica ‘seduta’. Ma quella storia impiegava mesi, se non anni a sedimentarsi e ad assumere una forma precisa.
Carver lavorava su immagini di vita comune. Smembrava vicende apparentemente piccole, minime, e le trasformava, gli dava spessore. Accadeva così che i suoi racconti racchiudessero spesso un vissuto denso, incredibilmente vero.
Tutt’ora sfogliando le pagine di Cattedrale c’è da chiedersi, non tanto come facesse lui a sintetizzare pillole di esistenza, quanto come facciamo noi a circondarci di best sellers che di quel vissuto non contengono che briciole.


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