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Febbraio, 2006

  1. Franz Kafka vs Dan Brown

    Febbraio 27, 2006 by Admin

    Dopo diverso tempo ho riaperto gli occhi sulle pagine di cultura e sulle mie saltuarie frequentazioni blog-letterarie. Ne è risultato un interessante mix di notizie, critiche e aperture inaspettate.
    Andiamo per ordine.
    Da giorni – tre per la precisione – ho appoggiato sulla scrivania vicino al Mac una pagina di cultura del Corriere della Sera, dove accanto al volto del caro Franz Kafka viene riportato un articolo del buon Claudio Magris, scrittore triestino ancor prima che intellettuale nostrano.
    La pagina, sotterrata in questi giorni da un folto mucchio di giornali e di articoli economici, riappare ai miei occhi grazie al buon gusto che mi permette di discernere tra le perle di saggezza e l’effimera spazzatura. Decido infatti, essendo venerdì, di lasciarmi catturare dal luccichio delle gioie e dedicare il mio tempo al pezzo intitolato “Se Kafka cede alla dittatura dei bestseller”. FotinaMagris fa un discorso in cui distingue tra successo e valore, tra chi vince e chi ha ragione in ambito storico e ancor più ampiamente letterario. Il climax della narrazione porta a un confronto che nella mia personale visione si esplica nel quadrato di un ring su cui da un lato abbiamo uno dei campioni indiscussi del novecento letterario, l’esile e malaticcio autore de Il Processo, Franz Kafka, dall’altro il belloccio e in forma fisica smagliante Dan Brown con i suoi diversi milioni di copie vendute per Il Codice da Vinci.
    Il confronto sembrerà impari. Illuminato dai riflettori e ripreso dalle telecamere, Brown colpirà duro. Con rapide combinazioni ai fianchi e con un’invidiabile gioco di gambe non darà tregua a Kafka. Il ceco da parte sua incasserà bene vista l’esperienza a subire maturata durante la vita. Se avesse abbastanza tempo uscirebbe vittorioso alla distanza, ma verosimilmente cadrà a terra esangue dopo la prima ripresa e non avrà più modo di rialzarsi.
    In questi termini il successo mediatico dell’evento sarebbe garantito e la vittoria andrebbe a Dan Brown. Ma la storia per fortuna non ragiona in questi termini, altrimenti il valore di Kafka non sarebbe arrivato a noi.
    Decido di ampliare lo spettro del discorso e mi metto a spulciare la rete. Giungo così sul blog della garbata Lipperini e scopro che il discorso di Magris è già superato. E’ un discorso sì importante ma anche “fuorviante” perché a detta della scrivente c’è la sensazione che “si continui a fare drammaticamente confusione fra attenzione ad un fenomeno ed attribuzione di valori”. Leggendo i commenti che seguono mi accorgo che se pur interessante il commento della Lipperini il resto della discussione finisce nelle chiacchiere da salotto in cui dopo un commento rilevante si procede via via per sofismi e ancor peggio per pettegolezzi tra comari.
    Non mi scoraggio e sfrutto il tempo a disposizione per guardare più a fondo nella rete. Trovo così su Il primo amore un pezzo firmato dal combattivo Antonio Moresco che cita Magris da un punto di vista a mio parere più interessante. Moresco muove una piccola guerra contro la critica dedicata all’ultimo libro di Sebastiano Vassalli da Antonio D’Orrico. Quest’ultimo è reo di applicare un falso revisionismo per cancellare i Kafka, i Joyce, i Musil, i Celine e i Gadda dalla contemporaneità. Secondo d’Orrico il vecchio Kafka apparterrebbe ormai – con tutti gli altri – al secolo passato e non avrebbe più a che fare con noi.
    Detta così è un piccolo macigno. Tanto che Moresco non fa sconti, va giù duro e porta l’articolo di Magris a sostegno di quella difesa della letteratura universale che giustamente considera non già solo lo scrittore ceco moderno, ma alla stessa stregua definisce gli Omero, i Dante o gli Shakespeare campioni della contemporaneità, per la loro capacità di essere sempre profondamente attuali…


  2. La pigrizia dello scrittore…

    Febbraio 3, 2006 by Admin

    E’ un periodo che pigreggio sulla rete, svogliato e apatico, senza interesse per segnalazioni anche importanti. Leggo abbastanza, ma lascio che mi fluiscano tra le mani piccoli gioielli come i Sei racconti polizieschi di William Faulkner o L’Aleph di Jorge Luis Borges senza il desiderio di riferirne a qualcuno oFotina di elaborarne una personale interpretazione.
    Dovrei svegliarmi e che ne sò, segnalare il tentativo di Leonardo Colombati di stabilire una classifica dei migliori romanzi americani di tutti tempi, oppure linkare al sito dell’Academy con le fresche candidature ai prossimi premi Oscar…

    Decido di fare qualcosa di più, decido di leggere e di far leggere un passaggio tratto da Il giardino dell’Eden di Ernest Hemingway. Il protagonista è uno scrittore in viaggio con la propria compagna e l’intreccio fa luce su una latente crisi tra i due che ben si traduce nella crisi della professione dello scrittore. E’ un passaggio in cui i pensieri del personaggio si mescolano alla narrazione e ben sintetizzano il corretto modus operandi di chi voglia uscire dal letargo della pigrizia.

    FotinaEccolo:

    Così tu hai lavorato e ora ti preoccupi. Farai meglio a scrivere un altro racconto. Scrivi il più difficile che ci sia da scrivere fra quelli che sai. Và avanti e fai questo. Devi durare tu stesso se vuoi giovarle in qualche modo. Quanto le hai giovato? Molto, si disse. No, non molto. Molto vuol dire abbastanza. Và avanti e comincia quello nuovo domani. Al diavolo domani. Che razza di modo di essere. Domani. Vai dentro e comincia ora. Si mise in tasca il biglietto e la chiave e tornò nella sua stanza di lavoro e si sedette e scrisse il primo paragrafo del nuovo racconto che aveva sempre rinviato da quando aveva saputo che storia fosse. Lo scrisse in semplici frasi dichiarative con davanti tutti i problemi da vivere e da far vivere fino in fondo. L’attacco era già scritto e tutto quello che doveva fare era continuare. E’ tutto, si disse. Vedi com’è semplice quello che non sai fare? Allora uscì fuori sul terrazzo e si sedette e ordinò un whisky con Perrier.