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‘Aneddoti’ Category

  1. Fotografia, teatro e danza – 5 –

    Giugno 27, 2007 by Admin

    Qualche mese fa, quando stavo scrivendo questo breve racconto di ricordi, mi ero arenato perché mi mancavano delle foto. O meglio dovevo andare a recuperare le immagini scattate durante i corsi di danza. Fotina
    Se non per questa che vedete qui accanto, non le ho trovate quelle foto. Non perché non le abbia più, ma perché di mezzo c’è stato, e c’è, un trasloco.
    Non ricordo bene dove ero rimasto. Certo potrei leggere gli ultimi quattro post, ma non sono gli eventi che contano, è più il senso di ciò che volevo dire…
    Immagino – perché ultimamente ne ho parlato con più di una persona – che quello che avessi davvero in mente di raccontare era il perché oggi non faccio più fotografie…

    Riprendiamo da E.
    Avevo iniziato a parlare di lui.
    E., come dicevo, era il coreografo della scuola. Era anche l’insegnante dei corsi di danza. Era ed è tuttora tante cose: brasiliano, gay, estremamente allegro e, come ho avuto modo di apprezzare, una persona gioviale che non scaricava mai la tensione del lavoro in teatro sulle persone che gli erano intorno. Come dicevo ebbi l’ardire di chiedere a lui se potevo presentarmi con l’obiettivo durante i suoi corsi di danza.
    Lui acconsentì.
    Per capire meglio ciò che avvenne faccio un breve quadro.
    Dopo un periodo di qualche mese come assistente per un fotografo di moda, mi trovavo in una scuola di teatro, creative writing e varie altre arti. Frequentavo il corso di scrittura ma mi ero appassionato alle lezioni di tecnica dell’attore. La scuola organizzava anche una serie di incontri con alcuni antropologi, musicologi, persone di cultura a cui assistevo con passione. Mano a mano, avevo chiesto di poter scattare fotografie durante tutte le attività, comprese infine le lezioni di danza…
    Per rompere la poesia di questo idillio, preciso che c’era una retta da pagare, ed era anche abbastanza elevata… per mantenermi, dopo aver lavorato come informatico part-time per qualche tempo, lavoravo ora a tempo pieno come redattore presso una delle prime testate sul web.
    Fatto sta che le ore della mia giornata erano densamente popolate. Il giorno lavoravo, e dalla sera fino alla notte – spesso inoltrata – andavo alla scuola… il tutto girando per la mia odiata-amata città attraverso stancanti spostamenti sui mezzi pubblici.
    Al rientro a casa ero distrutto, mangiavo un boccone e mi infilavo sotto le coperte. Verso la fine di quel periodo mi era venuta la gastrite…
    Beh, immaginatemi con l’acidità che fa su e giù tra lo stomaco e la bocca della gola, immaginatemi con una reflex russa degli anni ’70, completamente manuale, tra le gradinate di un piccolo teatro. La luce è inesistente se non per alcuni faretti che bruciano le superfici che intersecano. Tanto più che le pareti e il palco sono neri e tutto ciò che non è nel cono di luce non esiste. Lavoro con un teleobiettivo e ho l’autorizzazione a fare i miei scatti purché non utilizzi il flash. Il corso di danza è variegato, tutti hanno un minimo di esperienza, ma alcuni sono davvero bravi, altri si vede, si muovono con un pizzico di goffaggine.
    E. gestisce le musiche, mette a rotazione diversi CD in un piccolo stereo appoggiato su una sedia, fa alcune pause tra un brano e l’altro, spiega cosa vuole vedere e i movimenti che si aspetta che i corsisti facciano. Costruisce coreografie, interviene direttamente sul materiale umano in movimento. Il suo lavoro include la gestione delle luci.
    Mi spiego.
    Ha sistemato lui i faretti su una posizione fissa, e crea le sue coreografie spostando i movimenti dei corsisti in modo che intersechino la luce.
    Io sono affascinato da quel lavoro, è simile al lavoro del fotografo per il quale lavoravo, ma ha un livello di complessità in più: c’è di mezzo il movimento.
    Il fotografo posizionava le luci e creava uno sfondo. Il suo professionismo era nel controllo totale della qualità e quantità della luce su un’area abbastanza ristretta. E. lavora su un teatro di posa e il suo professionismo si basa sulla qualità del movimento. Ma non il movimento in generale, no, lui lavora sul movimento percepito. Quello cioè che emerge nel complesso del palco, nelle macchie di luce che lo inondano.
    Usa il buio e la luce come pennelli sul corpo dei danzatori, ma mentre il pittore dipinge su una tela ferma, lui muove la tela su dei pennelli fermi. La tela, per lui, è una coreografia sul palco.
    Mi domando ora, valeva la pena di avere la gastrite per questo?
    O sì, valeva eccome.
    Anche perché questo era solo l’inizio di un percorso di consapevolezza che mi ha portato più avanti a diventare il tecnico luci della scuola…

    continua…


  2. Fotografia, teatro e danza – 4 –

    Marzo 26, 2007 by Admin

    C’è da dire che la luce nella danza è fondamentale.
    O meglio. La luce è lo specifico fotografico, ciò che rende la fotografia un’arte. Essa è importante per qualsiasi tipo di scatto, che sia in estate sotto il sole piatto di mezzogiorno, o in un luogo chiuso illuminato da candele o faretti. Nei vari casi il fotografo ha semplicemente problemi diversi ed esigenze diverse.
    Ora quello che voglio dire è che se nel teatro può accadere che la luce di un faretto bruci il volto dell’attore lasciando tutto il resto al buio, nella danza questo non è accettabile, né per il fotografo, né tanto meno per lo spettatore. La danza si nutre di luce perché alcuni effetti che crea per il suo pubblico si basano su di essa. Nella danza la luce è essenziale perché fa parte della coreografia e aiuta a creare movimento nella scenografia.
    Questo me lo ha insegnato E.
    La sera della Kafka-dance, mentre ero impegnato a dannarmi l’anima per il rullino terminato prematuramente e per l’assenza di pellicole nuove nel borsone, avevo visto E. seguire la danzatrice nel dietro le quinte. La seguiva con la testa e ne anticipandone i gesti. Dietro quella coreografia c’era il suo intervento.
    E. era l’insegnante di danza nonché il coreografo della compagnia teatrale della scuola.
    Ora tornando a me, io non sono estroso, ne tantomeno estroverso. Per diventare “il fotografo” avevo già impiegato una grande dose di quella che si può definire intraprendenza. Con il senno di poi mi risulta difficile credere che feci anche altri passi in avanti, il primo dei quali fu quello di chiedere a E. di poter assistere (e fotografare) le sue lezioni di danza…

    continua…


  3. Fotografia, teatro e danza – 3 –

    Febbraio 19, 2007 by Admin

    …e poi, avvenne così, senza premeditazione. Mi innamorai anche della danza.
    Ora, il teatro è un’arte narrativa. Anche senza il suo volere, anche quando entra nei suoi microcosmi introspettivi il teatro racconta la vita. La danza no, non racconta. Essa è forma, è movimento, è ritmo, è luce. Anche essa è vita. E’ una vita non narrata ma vissuta.
    Accadde che durante una delle attività extra-teatrali della scuola finì nel mio obiettivo una danzatrice. FotinaRicordo ancora lo spazio del bar, le tavolate, le panche, la luce calda delle candele, gli studenti riuniti in gruppetti a sorseggiare una birra e a chiacchierare. E poi qualcuno sul palchetto a leggere poesie o a suonare una chitarra. In quell’atmosfera era naturale che ogni fine settimana si organizzassero serate aperte in cui le varie arti si contaminavano l’un l’altra.
    Un sabato capitò sul palco un attore che proponeva alcuni passi tratti da Il Castello di Kafka. Li leggeva con voce calda e con la giusta enfasi. Senza eccessi di ritmo, ma con un tono profondo che dava il peso delle parole. Era accompagnato da una musica jazz; un basso in sottofondo rispondeva a ritmo alle sue battute e, ad ogni sua pausa, ad ogni virgola, il basso reclamava che no, non aveva il diritto di fermarsi, e l’attore allora riprendeva a leggere.
    Io ero seduto in un angolo, come al solito cercavo di essere il più invisibile possibile. Ero pronto a scattare, a immobilizzare in un’immagine fotogrammi di vissuto. L’attore raccontava i tormenti di quel personaggio K che altri non era se non l’ingabbiato alter-ego di Kafka. Poi a un tratto, alla fine di una frase, di un capoverso, la musica aveva invaso il territorio delle parole e la voce dell’attore era calata di tono, era sfumata di peso. Piano piano era sfuggita alla soglia dell’udibile. Lui sul palco mimava le parole che avrebbe pronunciato, ma la sua voce con un raggio di luce si era spostata altrove, si era trasformata in qualcosa d’altro. FotinaLo schermo luminoso di un faretto era cresciuto di intensità e mentre il buio calava sull’attore, l’immagine di un corpo prendeva movimento. Era il movimento di una danzatrice.
    Era un corpo flessuso, una ragazza con i capelli lunghi raccolti in una coda, un paio di pantaloni di lino e una canottiera di seta nera. Si muoveva sul posto al ritmo del basso o, meglio, in risposta ad esso. Era la voce dell’attore che continuava a leggere, ma le parole erano divenute movimento, e i gesti che le sostituivano erano altrettanto caldi, altrettanto profondi.
    Non so cosa accadde in me, ma cominciai a scattare, e a scattare, e a scattare e a dannarmi l’anima quando ad un certo punto, quasi subito, dopo neanche dieci scatti, il rullino finì…

    continua…