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‘Luoghi’ Category

  1. Barcellona e Gaudì… e poi anche Antonioni

    Dicembre 13, 2005 by Admin

    Esulo da questioni cinefile o librofile per parlare di un luogo e di un architetto: Barcellona e Antoni Gaudì.
    La città catalana da cui torno fresco fresco, resta una delle più belle che abbia mai visto e dopo cinque giorni di cielo limpido e una temperatura tra i 7 e i 15 gradi ne rimango ancor più stregato. FotinaTanto più che questa volta a differenza di altre non ero di passaggio.
    Le tappe della visita hanno previsto gli immancabili viali alberati delle Ramblas con gli artisti di strada e il passeggio dei turisti, il Barrì Gotic pieno di viette da scoprire e negozietti sorprendenti, la Barceloneta con i ristorantini dove preparano paella e frutti di mare portati dai vecchi pescatori che abitano nella zona, e poi, in ordine sparso, la casa Millà, la casa Battlò, il parco Guell e l’incompleta Sagrada Famiglia. Opere quest’ultime venute alla luce grazie al genio di uno dei maggiori interpreti del modernismo spagnolo, Antoni Gaudì.
    L’architetto catalano è un personaggio controverso la cui vita meriterebbe di essere raccontata in un’opera letteraria o in un film. I tratti più forti della personalità di Gaudì si ravvisano nel forte nazionalismo – addirittura, in età avanzata, non rispondeva alle domande che gli venivano rivolte in castigliano -, nella tempra solitaria e spirituale -“ gli ultimi anni della vita li passò nel cantiere della Sagrada Familia – e nella personale visione architettonica – un’elaborazione del neogoticismo di moda al tempo con componenti naturalistiche i cui motivi zoomorfici e arborescenti esprimono anticipazioni di molte tendenze dell’arte moderna e del design.
    Gaudì nacque nel 1852 e la ricchezza della Catalogna a cavallo tra ‘800 e ‘900 gli garantì la possibilità di lavorare esclusivamente a Barcellona dove tra acclamazioni – per la ristrutturazione della casa Battlò – e sfottò – per la costruzione della casà Millà – divenne celebre e raggiunse notevole fama.
    FotinaNon mi dilungo ulteriormente sulla vita perché l’episodio che merita di essere raccontato è quello della sua morte.
    Nonostante la grande fama, negli ultimi anni viveva, come accennato, all’interno del cantiere dell’opera più importante e maestosa che gli fosse stata commissionata, la Sagrada Familia. Lì conduceva una vita quasi da barbone.
    Ebbene, il 7 giugno 1926, all’età di 73 anni, si recò alla chiesa di San Filippo Neri e mentre ne usciva venne investito da un tram e trascinato sul selciato. Alcuni tassisti non lo riconobbero e si rifiutarono di portare all’ospedale quell’uomo anziano, poveramente vestito. Solo dei passanti lo aiutarono e lo trasportarono all’ospedale della Santa Creu, un ospizio per i mendicanti fondato dai ricchi borghesi della Catalogna. Fu riconosciuto soltanto il giorno successivo dal cappellano della Sagrada Familia ma era troppo tardi e il 10 giugno morì in mezzo ai poveri come un barbone.
    Due giorni dopo un corteo funebre lungo quasi un chilometro andò a rendere omaggio al più geniale degli architetti spagnoli. Oggi la sua salma riposa nella cripta della Sagrada Familia.

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    Va bene, non esulo completamente e mi ricollego a un film memorabile. Barcellona e i tetti delle case di Gaudì si offrono come sfondo a uno dei capolavori di Michelangelo Antonioni, Professione Reporter. E’ una delle tre pellicole internazionali che il regista italiano ha realizzato a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, al culmine della carriera. Le altre due, Blow-Up e Zabriskie Point vengono a torto ricordate più spesso. Professione Reporter, i cui interpreti sono Jack Nicholson e Maria Schneider (la ricordate? La protagonista femminile di Ultimo tango a Parigi) è dei tre quello che conservo maggiormente nella memoria. Forse a causa delle dominanti azzurre del cielo e del lungo piano sequenza con cui termina, forse proprio per le linee ondulate dei tetti barcellonesi.
    Ad ogni modo è la pellicola di Antonioni in cui la tensione visiva raggiunge il livello più alto, più ancora a mio avviso che nel finale di L’avventura e in quello enigmatico di Blow-Up. FotinaL’intreccio si può sintetizzare in poche parole: un reporter di guerra (Nicholson) si finge morto scambiando la propria identità con quella di un uomo che ha incontrato nell’hotel di un paese sudafricano. In un percorso per l’Europa inseguendo alcuni indizi sull’identità rubata incontra una giovane viaggiatrice (la Schneider) con cui intrattiene una relazione. Sembra non accadere nulla e tutto invece conduce a una riflessione profonda sul senso della vita…
    Antonioni ha scardinato il racconto per immagini per realizzare il più delle volte opere intimiste caratterizzate da lunghe pause e da silenzi interminabili. Questa poetica lo ha reso uno dei registi più controversi della storia, amato e odiato con pari intensità. Da anni è semi-paralizzato a causa di un ictus e solo negli anni ’90 è tornato sulla scena internazionale grazie a uno dei più grandi ammiratori del suo lavoro, Wim Wenders. Il regista tedesco lo ha aiutato a realizzare Al di là delle nuvole, un film a episodi tratto da alcuni racconti di Antonioni stesso. A 92 anni, nel 2004 ha poi diretto Il filo pericoloso delle cose che con Equilibrium di Steven Soderbergh e The Hand di Wong Kar Wai costituiscono il film Eros.


  2. Ireland, Dublin, musica e parole…

    Novembre 15, 2005 by Admin

    FotinaOggi sono passati due anni da che ho lasciato Dublino. Non che ci abbia vissuto secoli, ma un anno vorrà pur dire qualcosa. Ripenso al caro St. Steven Green, alla malinconia dell’autunno in cui ho visto cambiare il colore alle foglie di un faggio o all’ultima volta in cui sono stato in Connemara, le pecore che spuntavano tra i laghetti e le collinette che circondavano la strada. Ricordo con affetto gli amici lasciati là, Silvietta, Jean Noel, Keith, Samantha…
    Ripenso anche all’anima irlandese: musica e letteratura, U2 e James Joyce. Lasciando l’Irlanda mi son portato dietro qualche ricordo. La stampa di un dipinto di Leech e le cartoline prese alla National Gallery, i bicchieri da pinta di Guinness, Harp, ma anche quelli della Carlsberg e della Stella Artois presi qua e là nei pub. Gli immancabili libri tra cui spicca l’Ask the dusk di Fante – primo romanzo che ho letto in lingua -, Tender is the night di Fitzgerald, Il Giocatore di Dostoevskij – questo in italiano -, ma poi soprattutto la trilogia di Barrytown del buon Roddy Doyle. Il più che noto The Commitmens, l’irriverente The Snapper e il meno rapido ma sempre geniale The Van. Doyle riesce a ricreare quel vissuto da knacker che solo chi è vissuto a Dublin riesce a capire.

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    In The Van c’è un passaggio in cui Doyle rende evidente il concetto – l’importanza – di una buona pinta irlandese. Il personaggio principale si ritrova dopo qualche tempo al pub con gli amici e…

    Fotina“It wasn’t the pints Jimmy Sr loved; that wasn’t it. He liked his pint… he fuckin’ loved his pint… but that wasn’t why he was here. He could do without it. He WAS doing without it. He only came up about two times a week these days, since he’d been laid off, and he never missed the drink, not really. Every night at about nine o’clock… when he heard the News music… he started getting itchy and he had to concentrate on staying sitting there and watching the News and being interested in it, but it wasn’t the gargle he was dying for: it was this (he sat back and smiled at Bimbo); the lads here, the crack, the laughing. This was what he loved.”