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‘Cinema’ Category

  1. Woody parla di Bergman

    Agosto 24, 2007 by Admin

    La Repubblica ha pubblicato ieri la traduzione di un testo in cui Woody Allen ricorda Ingmar Bergman e i lunghi colloqui telefonici che i due cineasti hanno avuto negli anni. Allen
    Allen ha sempre mostrato una certa passione per il regista svedese, tanto da cercare in più riprese di realizzare film che avessero la stessa struggente poesia, e lo stesso tragico senso estetico (vedi Interiors, Stardust Memories, Settembre ma anche per altri versi il recente Match Point). In questo suo documento – quasi un coccodrillo chiestogli da più parti – il regista newyorkese usa un tono serio, pacato, che mai gli avevo sentito usare in pubblico.

    Qualche volta ho scherzato dicendo che l’arte era come il cattolicesimo degli intellettuali, forniva il desiderio di intravedere una vita dopo la morte“, scrive e poi aggiunge, “è certo che i film di Bergman continueranno a vivere e a essere visti nei musei e in televisione e venduti in Dvd. Ma, conoscendolo, questa non poteva che essere una magra consolazione e sono sicuro che avrebbe barattato con piacere ognuno dei suoi film per un ulteriore anno di vita“.

    Quello che si percepisce dalle sue parole è una profonda reverenza, un attento rispetto per una persona, Bergman, che lui ha sentito vicina come poche altre e che, come poche altre gli è stata di insegnamento.

    Parlavamo sempre di film e naturalmente lasciavo parlare lui la maggior Match Pointparte del tempo, perché sentivo che era un privilegio ascoltare i suoi pensieri e le sue idee“.

    Per chi conosce un pò la storia del cinema sa bene come il loro rapporto sia sempre stato quello tra il discepolo e il maestro e nonostante la loro cifra stilistica sia tanto distante è accomunata da non pochi fattori, primo fra tutti l’approfondimento psicologico che i due usano in modi diversi.

    Allen non fa mistero di essere un ipocondriaco maniacale e di aver sempre usato la psicanalisi come contesto naturale per la sua ironia. E’ vero che la sua ricerca artistica si è sempre confrontata con l’opera più sottile di Bergman, in cui l’approfondimento interiore era elemento trainante dell’indagine individuale dei personaggi. Ma è proprio su questo punto che risulta evidente lo scarto fra i due.
    Mentre nelle sceneggiature di Bergman l’analisi interiore è un forte fattore di “azione”, di trasformazione e di crisi, in Allen è parte integrante dell’ambientazione, non c’è spazio per una reale trasformazione dei personaggi perché questi usano dall’inizio alla fine le manie e le nevrosi come naturale sfondo dei loro comportamenti.

    Ora senza andare troppo in profondità nell’analisi dei loro differenti stili ritengo comunque scontato che entrambi a loro modo abbiano fornito un grande contributo alla settima arte. Bergman
    Ecco perché resto stupito nel sentire Allen quando dice: “lui era un genio e io non sono un genio”, e poi ancora, “la genialità non può essere insegnata”.
    Nulla di più strampalato a mio avviso perché il buon Woody era, è, e sarà – spero per lungo tempo – un regista ispirato, con il dono di creare magie e colpi di genio (come già sostenevo qui!)

    L’articolo comunque va letto tutto d’un fiato e può essere apprezzato da tutti gli amanti del cinema e più in generale delle arti, perché rimarca nel finale un discorso a cui tengo molto e che sempre più spesso ho incontrato e incontro nelle vite di scrittori e registi: la necessità di essere ostinati, di faticare per ciò in cui si crede e di crearsi una disciplina:

    Una cosa sono riuscito ad apprendere da lui, qualcosa che non dipende dalla genialità e nemmeno dal talento, qualcosa che può essere nei fatti imparata e sviluppata. Parlo di ciò che spesso si chiama con poca precisione etica del lavoro, ma che in realtà è semplice disciplina.
    Ho imparato dal suo esempio a cercare di fare il meglio possibile in un dato momento, senza cedere all’assurdo mondo dei successi e dei flop, senza rassegnarsi a entrare nello sfavillante ruolo del regista, realizzando invece un film per poi passare a quello successivo. Bergman ha girato nella sua vita circa 60 film, io ne ho girati 38. Se non posso raggiungere la sua qualità, forse potrò avvicinarmi alla sua quantità
    “.

    (Vai al ricordo di Woody Allen su Ingmar Bergman su La Repubblica)


  2. Il buon Jack su Antonioni

    Agosto 1, 2007 by Admin

    “Ci faceva sentire il silenzio nell’oasi del Sahara dove la troupe ogni sera mangiava cibi venuti dall’Italia mentre il mio regista, un padre, un amico, e soprattutto un maestro per me, continuava con i suoi occhi attenti a vedere e a farci ‘sentire’ le sue inquadrature”, così sul Corriere della Sera Jack Nicholson ricorda Michelangelo Antonioni e la lavorazione di Professione Reporter.Fotina
    E’ uno sguardo inedito per me, perché non conoscevo la venerazione del buon Jack per il regista italiano. Dice ancora: “Michelangelo poteva anche aver detto ironicamente ‘Gli attori sono mucche e tu li devi guidare attraverso steccati’, ma se ti incastravi nelle sue visioni, potevi essere l’attore più completo e creativo del mondo”.
    Lo trovo sorprendente, penso che sia la migliore medicina per me alla scomparsa di Bergman e Antonioni.
    Sentire Jack parlare così mi umanizza la sua figura, e in un gioco delle ricorsioni rende mortale ciò che di grande vedo nei due registi scomparsi. E’ quello di cui avevo bisogno, mi serviva che qualcuno dicesse – riuscisse a farmi sentire – che la responsabilità del mondo è caduta nelle mani di qualcun altro. FotinaE che questo qualcun altro è all’altezza. Jack, registi come Lars Von Triers o Kim Ki-duk, altri autori, attori, artisti. Anche in noi stessi.
    Se loro sono venuti meno, beh ci siamo noi che abbiamo più lavoro da fare, è questo che voglio leggere nelle parole del vecchio, caro, irresistibile Jack.
    “L’Europa e il mondo devono tantissimo al mio maestro, che amava l’arte, la pittura, la vita, la bellezza, le persone”, afferma ancora, e poi riferito a Professione Reporter: “questo è ancora il film che amo di più e che considero l’avventura più forte che io abbia mai avuto”.
    Wow, sì, così!
    Riporto tutto per mia futura memoria. Per ricordare come un mio mito guarda verso un suo mito, e in questo gioco di sguardi si riflette sempre un’unica verità: la vita, con le sue sfaccettature e con i suoi corsi e ricorsi.

    Guarda l’intervista a Jack Nicholson sul Corriere della Sera


  3. Anche Antonioni se ne va… e chi resta?

    Luglio 31, 2007 by Admin

    C’è dell’umorismo macabro nella Morte… intendo il personaggio con la falce de Il settimo sigillo di Bergman. Ieri mattina si prendeva il regista svedese, poi in serata è passata per l’Italia e si è portato via Michelangelo Antonioni. Certo Antonioni aveva 94 anni e negli ultimi vent’anni, in seguito all’ictus, aveva perso il suo smalto. FotinaMa era pur sempre l’artefice di quella poetica detta dell’incomunicabilità che per me ha raggiunto l’apice nel piano sequenza finale di Professione Reporter.
    Non amavo alla follia l’opera di Antonioni. Non era tra gli autori che mi hanno catturato a livello istintivo, non c’era affinità tra me e lui, eppure…
    Eppure ho imparato ad apprezzarlo, ad amare le scene silenziose in cui il suo occhio vagava alla ricerca del senso di ciò che accade: la scomparsa di un affetto, il senso delle relazioni umane, l’idea che abbiamo della nostra vita.
    E poi c’era la fotografia. Le inquadrature di Antonioni erano puntuali, severe per molti versi, ma comunque precise. Ho apprezzato più i suoi film a colori che non quelli in bianco e nero. A cominciare proprio dalla pellicola del ’75 con Jack Nicholson e Maria Schneider. Ma anche Blow Up e Zabrizkie Point lì ho preferito ai vari La notte o L’Avventura. Era come se i colori del mondo mi aiutassero a sopportare meglio quell’incomunicabilità.
    Forse, più semplicemente, dipendeva dal rigore di una fotografia che toglieva tutto l’inessenziale e che per questo diventava claustrofobica.
    Poi a dirla tutta ho amato molto Al di là delle nuvole, ma credo che lì ci fosse una forte impronta di Wim Wenders…
    Comunque, superando tutto, oltrepassando anche l’idea che questo blog si stia trasformando in un prontuario di annunci funebri, Antonioni mi mancherà e penso che per lui valga in parte quanto scrivevo ieri per Bergman…

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